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Le sirene dei Paesi Arabi attirano sempre di più i professionisti sanitari (anche dalla provincia di Foggia)

Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, questi i Paesi maggiormente ambiti dai professionisti sanitari. Che partono (e sono partiti) anche dalla Capitanata e in tempi non sospetti, come è accaduto per il neurochirurgo foggiano Gaetano Rizzi, ormai ex dirigente medico (dimissionario) del Policlinico Riuniti di Foggia che ha intrapreso, già negli anni scorsi, la via che potrebbe portarlo presto ad esercitare a Dubai, città notissima degli Emirati.

Ma cosa porta uno stimato professionista, che di certo non ha problemi a trovare una occupazione, a lasciare addirittura un contratto a tempo indeterminato nel pubblico per approdare in un Paese lontanissimo, nella geografia e nella cultura?

“Le ragioni sono molteplici – ha esordito a l’Attacco lo specialista che ora opera nella sanità privata di tutta Italia -, innanzi tutto, come ho potuto constatare in prima persona, parliamo di Paesi in cui le condizioni di vita sono migliori. E poi naturalmente incide anche il discorso economico, i compensi toccano i 20 mila dollari al mese, con una tassazione esigua, a Dubai è pari al 5% ad esempio. In più i contratti prevedono una serie di benefit extra che vanno dai contributi per le abitazioni, all’automobile, all’assicurazione sanitaria, fino alle rette per le scuole dei bambini. In altre parole si concentrano servizi, qualità della vita, sicurezza delle città e compensi tali da far comprendere bene il perché sempre più sanitari (e non solo) decidano di trasferirsi in Medioriente”.

Un passo così importante, come l’andare a vivere in Paesi all’apparenza molto distanti, anche culturalmente non spaventa più.

“Assolutamente no, anche perché la sanità, sia pubblica che privata, nei Paesi arabi è molto simile a quella italiana. Insomma, non c'è tanta differenza, se non nel fatto che, avendo quelle nazioni un Pil molto alto, investono tanto nella sanità e nel sistema sanitario, sia in quello pubblico, che in quello privato. Le tecnologie di cui dispongono ad esempio sono straordinarie e questo eleva anche la qualità del lavoro dei professionisti - ha evidenziato Rizzi -. Anche dal punto di vista dei costumi, ferma restando la differenza di cultura religiosa, ho potuto constatare a Dubai, città in cui sono stato quattro volte, che la società si è molto occidentalizzata e quindi hanno una mentalità aperta, a differenza di quanto si possa pensare e per certi versi più evoluta della nostra”.

Quanto all’accesso alla professione sanitaria, il dottor Rizzi ha avuto modo di toccare con mano le procedure e anche se, per una serie di ragioni personali, ancora non ha fissato il suo futuro professionale nel Paesi Arabi, conferma che l’obiettivo Dubai non è ancora tramontato e che presto potrebbe approdare in Uae.

“Per poter lavorare nella sanità emiratina occorre inoltrare una domanda presso il locale ministero della salute, si presenta tutta la documentazione richiesta ed infine si sostiene una sorta di esame di abilitazione, all’esito positivo del quale si ottiene un nullaosta sanitario e un visto per risiedere in loco. Il filtro è molto stretto, non tutti ottengono l’abilitazione, le commissioni sono molto severe, questo perché si attengono alle linee guida americane. Questo comporta che la qualità dei professionisti sia molto alta. Prendendo sempre ad esempio Dubai, in città ci sono tre ospedali pubblici, il resto, vale a dire gli altri 50, sono ospedali privati, che peraltro sono a scelta dei pazienti/clienti. In altre parole un ospedale funziona quanto più ha una buona reputazione e quindi è nell’interesse delle strutture avere bravi medici per attirare più utenza”.

Oltre a tutti i pro che un professionista troverebbe in quei luoghi, ad incidere sulle scelte di medici e infermieri sono anche i contro che affrontano quotidianamente nella sanità pubblica italiana, che vive negli ultimi anni un profondo declino.

“La sanità pubblica è in una fase di grave crisi – ha confermato il neurochirurgo -. Sono tanti gli indicatori che lo evidenziano: solo per citare alcune situazioni che incidono sulle scelte dei professionisti, un medico in servizio per tanti anni nel pubblico spesso vede le aspettative sul proprio futuro professionale, ad un certo punto, andare a rotoli. E quindi decide di fare un passo, il cosiddetto passo della vita, il passo della libertà, se vogliamo. A questo si aggiungano turni massacranti a cui si è sottoposti per carenza di personale, sacrifici, aggressioni da parte dei pazienti, scarsa retribuzione, limitate possibilità di crescita professionale e carriera stroncata dall’arrivo del solito raccomandato di turno che ti soffia il posto. In queste condizioni è comprensibile che si decida di andare all’estero dove le professionalità sono apprezzate, esaltate e non mortificate”.

La situazione è ancora in ampia evoluzione, basti pensare che entro il 2030, rilevano ancora da Amsi e Umem, in Arabia Saudita serviranno 44mila medici e 88mila infermieri, che nelle intenzioni dei governi di quell’area serviranno ad arginare parzialmente l'esodo di 30mila pazienti che dai Paesi del Golfo si curano all'estero (negli Usa e in Inghilterra, Germania e Francia), per un esborso totale di oltre 20 miliardi. Arruolare personale medico e sanitario ottimamente formato, come è quello italiano, diventerà sempre più una scelta conveniente.

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